#1winestorming Trend e opportunità per il vino italiano di qualità nei mercati internazionali

Intervista a Raffaele Augelli

Raffaele, com’è segmentata l’offerta dei vini italiani sui mercati esteri?

L’offerta del vino è segmentata sui mercati sotto molteplici aspetti, su tutti ne cito innanzitutto due: la provenienza geografica (la c.d. wine region) ed il prezzo. Va considerato che, a differenza di altri prodotti, il vino in sé ha forti elementi identitari di differenziazione: l’uvaggio, le denominazioni, la sensibilità alle annate, il terroir, il vigneto, i cru, etc. In più il vino italiano nello specifico ha un enorme punto di forza che è la biodiversità. Nessun paese al mondo può vantare la quantità di varietà autoctone e di microclimi che ha l’Italia.

Si parla molto di “regional branding”, ci spieghi di che cosa si tratta?

Il “regional branding” per definizione è il modo di differenziare varietà o tipologie di vino utilizzando il nome della regione e quindi andando a trarre beneficio dalla popolarità preesistente del luogo e allo stesso tempo dando valore alla wine region di appartenenza.
Due grandissimi esempi ci vengono forniti dai cugini francesi: Bordeaux e Champagne sono prima di tutto due luoghi geografici.

Perché ci credi tanto?

Il vecchio motto “l’unione fa la forza” è sempre molto attuale e vincente a mio modo di vedere. Riportato nel romantico mondo del vino, l’identità e l’unicità di ogni singolo territorio sono gli aspetti di differenziazione più forti. Faccio fatica a comprendere perché talvolta piccoli produttori di uno stesso luogo invece di cooperare per valorizzare il proprio territorio e la propria regione, tra l’altro spesso già nota per turismo, storia, etc., investano energie per farsi guerra tra di loro. Basterebbe chiedersi cosa cambi per un inglese, un giapponese o un americano se, ad esempio, la Ribolla Gialla sia proveniente dai colli del Collio o dalla sub-regione Isonzo, se prima non è stato portato insieme in alto il nome della regione Friuli e della varietà Ribolla Gialla. In questo senso, senza scomodare i cugini francesi, recentemente fanno scuola i neozelandesi con il tipico Sauvignon di Marlborough e gli argentini di Mendoza con il Malbec che è diventato più popolare addirittura del Malbec di Cahors, regione francese in cui nasce la varietà.
In Italia ci sono esempi in questo senso, nel segmento premium mi viene subito da pensare a Bolgheri o all’Etna nel passato più recente in cui si sta lavorando di squadra con risultati eccellenti.

Quali logiche di posizionamento e distribuzione seguono i c.d. “fine wines”?

Va premesso cosa sono i “fine wines”, ovvero i grandi vini pregiati. Un tempo questo segmento era rappresentato solo dai grand cru francesi ma oggi il monopolio francese è insidiato da altri grandi vini prodotti nel resto del mondo. Con forte senso patriottico ci tengo a precisare che il 15% del market share dei fine wines oggi è rappresentato da vini prodotti in Italia, ma siamo ancora lontani dal posizionamento e dal successo dei Bordeaux o della Borgogna.
Va anche premesso che i fine wines seguono logiche non solo di posizionamento e distribuzione a parte, ma anche la visione strategica e la comunicazione devono essere specifiche.
I “fine wines” sono veri e propri oggetti di culto, alla pari di orologi e opere d’arte, che hanno un costo significativo e sono determinati sostanzialmente da una serie di aspetti: la popolarità, l’esclusività, la provenienza da un posto speciale, la domanda, il costo e la critica. Sembreranno aspetti scontati per gli operatori, ma i punteggi dei critici sono determinanti per il prezzo e lo stesso prezzo può variare di annata in annata in base ai punteggi dello specifico vino, ma anche dell’annata in sé. Se ad esempio una specifica annata a Bordeaux è valutata male dalla critica, i punteggi saranno di conseguenza più bassi, ed a seguire la domanda ed i prezzi. Ragionando sempre sulle logiche di prezzo, per l’evoluzione della tecnologia e dell’intelligenza dei motori di ricerca, il posizionamento deve essere allineato nel mondo per evitare speculazioni e perdita di fiducia nel brand da parte dei consumatori.
I “fine wines” sono altresì protagonisti di canali aggiuntivi: quello dei collezionisti, quello del wine investment, cosi come quello del mercato secondario e delle aste, che poi sono interconnessi tra loro.

Possiamo ritenere dunque i vini da investimento come un solido bene rifugio?

E ‘un tema molto in voga recentemente ed i dati sembrano confermare l’interesse nell’investire in vini pregiati: nell’ultimo decennio la categoria del “wine investment” è cresciuta di più del 100%. In altri termini, chi ha investito dieci anni fa ha guadagnato in media 10-12% all’anno rispetto all’investimento. Sono dati impressionanti, largamente superiori all’andamento dell’oro e del real estate ed in linea con gli investimenti in arte e in auto d’epoca. Esistono logiche specifiche che determinano la rivalutazione di un vino nel tempo e sono nate società ad hoc, che alla pari dei consulenti finanziari, guidano l’investitore nella scelta dei vini, delle annate, etc.

Chiudiamo con il packaging. Quanto è determinante?

Il vino è un prodotto della terra che è la rappresentazione di un territorio, di uno specifico uvaggio e soprattutto della passione e del lavoro dell’uomo. Ma è pur sempre un prodotto e quindi segue le stesse dinamiche del marketing, valide ad esempio nel campo della cosmetica o del fashion. Mi è rimasto impresso un survey condotto da un professore di marketing da cui è emerso che 9 consumatori su 10 dinanzi ad un muro con centinaia di bottiglie, dopo aver determinato il budget di spesa e la tipologia di vino, scelgono la bottiglia da acquistare in base al packaging. In altri termini, la presentazione del prodotto è tra i primi 3 fattori che determinano le scelte del consumatore medio.

(Bio) Raffaele Augelli

Raffaele Augelli, nato e cresciuto in Puglia, dopo aver completato gli studi universitari a Parma, porta a termine il prestigioso MBA presso l’Inseec Wine Institute di Bordeaux dove gli viene poi affidata la cattedra e dal 2019 un corso sulla “Premiumisation” dei vini italiani.

Seppur giovanissimo, il suo profilo nel wine business è profondamente multiforme, completo ed internazionale spaziando dalle vendite, alla conoscenza dei mercati a quella del prodotto, in particolare il segmento dei fine wines, fino al marketing strategico. Dopo Bordeaux si trasferisce a New York dove ricopre posizioni manageriali sia sul fronte acquisti e selezione dei prodotti e sia sul fronte sales.

Rientra 5 anni fa in Italia per dedicarsi all’azienda storica leader pugliese “Rivera”, che gli affida la gestione e lo sviluppo della distribuzione export con risultati brillantissimi. Spostatosi nel gruppo “Domini Castellare di Castellina”, al suo ruolo di Export Manager si aggiunge quello di “Responsabile dei Fine Wines”.